SCUOLA
ARCOBALENO
Scuola paritaria dell'Infanzia
Scuola Primaria
Scuola Media parentale
Lettura e scrittura
La Prima Classe
Nella prima classe il bambino deve imparare a leggere, a scrivere, a numerare, a far di conto. Sono forse gli apprendimenti più difficili di tutto il suo futuro itinerario istruttivo.
Nei segni della scrittura è importante che il bambino ritrovi le linee, le forme, il respiro delle proprie forze immaginative. Nel presentare, una dopo l’altra, le lettere dell’alfabeto al bambino, similmente al reale sviluppo storico della scrittura da ideografica a fonetica, è importante far scaturire le forme (stampatello maiuscolo) e i suoni da adeguate immagini corrispondenti. Se, ad esempio, si vuole presentare la lettera M, occorre trovare un’immagine del mondo esterno, della natura, che non solo inizi con il medesimo fonema, da cui ricavare il suono, ma dalla quale si possa anche trarre, metamorficamente, la forma. In questo caso, l’immagine adeguata può essere: mare. La parola “mare” inizia con la M e dall’immagine del moto ondoso se ne può ricavare la forma. La forma della lettera quindi nasce dal disegno, i bambini la riproducono pittoricamente e, associandola alla realtà di una immagine, difficilmente la dimenticano. Si ha la M di mare, ma anche la F di fiamma, la V di valle, la T di tetto, la S di serpente e così via. Inoltre, dalle immagini stesse, e quindi non solo dall’iniziale della parola, si può estrarre il suono corrispondente, dando il sentimento al bambino di come nella voce umana echeggino i suoni stessi della natura: il mormorio del mare, l’avvampare della fiamma, il vorticare del vento nella valle, il battito del temporale sopra il tetto… Trovare immagini per ogni lettera, in cui l’iniziale della parola, la forma e il suono si saldino insieme adeguatamente, non è facile, ma con un po’ di fantasia certamente possibile. Un conto è presentare le lettere astrattamente, un altro è far sentire, far sperimentare al bambino come nella M sia impresso il moto ondoso del mare, perfino il suo mormorio. Acquisendo una sua propria vita, ogni lettera diventa allora inconfondibile. A differenza delle consonanti, che vengono tratte da immagini esteriori, le vocali vengono fatte derivare dal mondo dei sentimenti. Le vocali, cosiddette musicanti, sono i primi suoni che il bambino emette e per questo vanno presentate prima delle consonanti. Che le vocali siano collegate a dei sentimenti è facile da intuire se si pensa come anche l’adulto, nell’esprimere spontaneamente alcuni caratteristici moti interiori, tenda a vocalizzarli. La lingua italiana, poi, così ricca di vocali, proprio per questo viene considerata una lingua musicale, sentimentale, a differenza delle lingue nordiche più concettuali in cui c’è maggior uso di consonanti. Ogni vocale può essere collegata, quindi, a un ben determinato sentimento o moto dell’anima: la A alla meraviglia, all’ammirazione; la O allo stupore, ma anche all’amore; la I al desiderio di avvicinamento, e quindi anche all’ispirazione, all’intuizione; la E ad un moto che tende a respingere, ma anche al rispetto di ciò che è sacro, alla meditazione; la U alla paura, e quindi anche al coraggio. Attraverso il racconto di una favola, ogni vocale è suscitata dal sentimento corrispondente e la forma, proprio per questo, rappresentata dall’immagine dell’uomo stesso.Per presentare la A viene, ad esempio, raccontata ai bambini una storia come questa:
Anacleto l’avventurosoallegro, lo dice il nome, amava l’avventura e l’allegria. Ma non un’avventura qualsiasi, che so…difendere un castello contro la furia di mille nemici diventandone poi re; oppure costringere un gigante a portarlo a spasso attraverso i mari da un’isola all’altra, per conoscere un po’ di più il mondo e per mangiare i frutti più gustosi… No, lui questo genere di avventure lo lasciava fare agli altri e altre storie parlano di questo.
L’avventura che egli cercava era di quel tipo che mette ali al cuore, che fa rimanere a bocca aperta. Ovvero qualcosa di veramente eccezionale, qualcosa che non si era mai visto o udito! Gli sarebbe piaciuto, ad esempio, trovare il fiore azzurro dei poeti, che è il fiore più profumato del mondo; oppure scoprire il prato delle farfalle bianche ed assistere alla loro danza….Qualcuno poi gli aveva parlato di una danza davvero speciale: una danza, pensate un po’, di colori. Egli non sapeva se fosse solo una leggenda o se fosse veramente esistita in qualche posto, in qualche tempo, ma certo sarebbe stato davvero bello vedere tutti i colori volteggiare nell’aria tenendosi per mano! Così Anacleto l’avventurosoallegro se ne andava per il mondo con questi pensieri.
Un giorno arrivò in uno strano paese. Tutti gli abitanti erano assai tristi e passeggiavano per le strade sbadigliando. Il loro aspetto era cadente, sciupato, così come anche le loro case, le strade, perfino gli alberi, tutto insomma appariva come avvolto da una luce spenta, sbiadita perché…ecco che cosa mancava! Mancavano i colori. Un vecchio lenzuolo grigio sembrava essere caduto sopra quel paese. Il cielo non era più azzurro, le nuvole non erano più bianche, i fiori avevano perso i loro gialli, i rossi, gli arancioni…Cerchiamo di immaginare per un attimo il mondo senza più colori: in una parola, triste. Come era potuto accadere ciò? Anacleto non sapeva darsi una spiegazione.
Passava di lì una vecchina ed egli volle interrogarla:
- Mi sa dire per favore dove sono finiti il bianco, il rosa, il rossastro delle nuvole che vagano alte nel cielo?
La vecchina, che camminava curva e tutta ripiegata in se stessa, rispose contrariata:
- Il bianco delle nuvole? E lo chiedi a me che da tanto tempo non alzo più lo sguardo al cielo? So solo che le nuvole hanno scaraventato sui miei poveri anni tanta di quella pioggia che a malapena riesco ancora a trovare la strada che mi riporta a casa.
- Sarà… - pensò Anacleto - ma se avesse osservato un po’ meglio le nuvole, come esse procedono lievi sulla via del cielo, forse anche il suo passo ora sarebbe più leggero.
Passò un giovane sopra un carro che trasportava mattoni.
- Chiederò a lui - si disse Anacleto - è giovane e i suoi occhi sono certo più aperti.
- Salve, mi potresti dire per favore dove è finito l’arancione dei tramonti, l’argento della luna che placida sorride nella notte, i bei marroni dei monti alti e rocciosi?
- Non ho tempo per pensare a queste inutili sciocchezze - rispose frettolosamente il giovane uomo - ho fretta di costruire la mia casa e la voglio più grande di tutte e ben comoda. - diede una frustata al cavallo e se ne andò.
- Sarà… - pensò Anacleto - ma senza la vista dei tramonti, della luna, dei monti lontani, come si può essere veramente felici?
Più in là giocavano i bambini. Le loro grida si spargevano tutte intorno come polvere in una stanza d’estate.
- Perché non ci ho pensato prima? - pensò Anacleto - I bambini, loro sì che sapranno rispondermi.
- Scusate se interrompo il vostro gioco, cari bambini, voi di certo sapete dove sono finiti i gialli, gli azzurri, i viola, i verdi dei fiori che sbocciano nei prati, delle farfalle che volano qua e là…
- Che?!
- Boh…
E uno: - Io penso solo ad inseguire il mio aeroplanino di carta.
E un altro: - Io piango sempre perché vorrei giocare a palla mentre gli altri giocano ad acchiapparella e quando invece vorrei giocare ad acchiapparella gli altri si mettono a giocare a palla.- e giù a piangere.
Dice un altro: - Io sono molto arrabbiato, ho dimenticato perché, ma so solo che sono molto, molto arrabbiato.
Così anche i bambini non sapevano che fine avessero fatto i colori.
Anacleto era molto perplesso. Desiderava andarsene da quel posto, ma come avrebbe potuto mantenere la propria allegria, lasciando alle spalle tanta tristezza?
Passarono i giorni ed anche lui cominciò a sentirsi triste, spento. E se i colori non fossero mai esistiti? Certo lui li aveva visti, un giorno, tanto tempo fa, ma ora anche lui faceva fatica a ricordarli. E mentre cercava di ricordarsi come fosse fatto l’azzurro, il giallo, il rosso…il suo sguardo fu attratto da qualcosa in un giardinetto davanti una casa. Fra i fiori, gli unici che aveva visto in tutto il paese, c’era una fanciulla, davanti ad un quadro vuoto e con un pennello in mano.
La fanciulla volgeva lo sguardo sognante ora sui fiori ora sulla tela bianca.
- Perché sei triste? - le domandò Anacleto.
- Perché - rispose la giovane - vorrei dipingere tante cose, tutto ciò che di bello il mio cuore sogna e desidera, ma non lo posso fare: non ricordo più come sono fatti i colori e se anche me ne ricordassi non li avrei a disposizione.
- Come è potuto accadere tutto questo? - domandò Anacleto.
La gente di qua - spiegò la fanciulla - ha cominciato a non aver più cura delle cose che le erano intorno, a non guardar più nulla con vivo interesse, così a poco a poco la bellezza se ne è andata, portandosi via i colori…
Mentre l’ascoltava, Anacleto cominciò a capire e negli occhi così dolci, così belli della fanciulla, per un attimo, gli sembrò di vedere nuovamente tutti i colori e ancora più vivi e luminosi di quello che ricordava. Occorreva fare qualcosa, una di quelle imprese che si possono intraprendere solo quando si è innamorati, ed Anacleto, detto fra noi, si era innamorato.
- Se nessuno guarda più attentamente le cose che lo circondano, se non si accorge della bellezza di una rosa, di un filo d’erba che cresce, della luce del tramonto… allora io lo farò! Ma non guarderò una cosa per volta: le guarderò tutte insieme in un’unica immagine che renda ancora più completa la loro bellezza.
Alle spalle del paese vi era un alto monte. Un monte che nessuno aveva mai tentato di scalare, perché si diceva pieno di pericoli a causa delle nuvole che lo circondavano e delle tempeste improvvise.
Anacleto si avvicinò a quel monte e cominciò ad arrampicarsi. Qualcuno del paese se ne accorse e a poco a poco tutti vennero a guardarlo. Una volta tanto qualcosa di straordinario gli aveva strappati dalle loro abitudini e costretti a fermarsi, qualcosa di straordinario, ma non sapevano esattamente cosa. Solo la fanciulla che desiderava dipingere intuiva qualcosa nel proprio cuore.
Mentre Anacleto saliva sempre più su, si scaraventò sulla montagna un tremendo temporale. Non vedendolo più, qualcuno temeva per la sua sorte. Poi, a poco a poco, attraverso le nuvole che cominciarono a scivolare via, ricomparve, proprio sopra la cima, la figura di Anacleto: ben dritto e con lo sguardo fermo aveva le braccia aperte e distese verso il cielo.
- Che cosa mai sta facendo? - si chiedevano tutti a bocca aperta.
Anacleto l’avventurosoallegro se ne stava in piedi sulla cima della montagna e guardava tutto il paesaggio che aveva di fronte a sé: il cielo che come un velo abbracciava il paese, le casette strette le une con le altre, il ruscello che sgorgava dalla collina, i boschi lontani…e tutto gli appariva così meravigliosamente bello! Egli alzava le braccia verso il cielo, da cui discende la bellezza di ogni cosa, e ad uno ad uno nominava tutti i colori: l’azzurro, il verde, il rosso, l’oro, il turchese, il celeste…Li invocava ad uno ad uno, perché infatti Anacleto vuol dire “invocare”.
Improvvisamente il temporale cessò e come per incanto ogni colore comparve e si mise a danzare intorno a lui.
- Ah, che meraviglia! - esclamò Anacleto con il cuore pieno di gioia.
- Ah, che meraviglia! - esclamarono tutti gli abitanti del villaggio, con il naso all’insù e le braccia distese verso l’arcobaleno.
E così se ne stavano anche la vecchina, il giovane frettoloso e i bambini. Tutti finalmente si erano accorti come era bello ciò che avevano intorno e tutti erano pieni di ammirazione per Anacleto.
E la fanciulla? La fanciulla, che lo amava, era corsa velocemente al suo giardino. E che cosa faceva? Voleva dipingere con tutti i colori la cosa più meravigliosa che avesse mai visto: Anacleto in cima alla montagna con le braccia distese che toccavano l’arcobaleno. Ed ora la mostrerò anche a voi.
​L’immagine viene disegnata alla lavagna e si mostra come da essa si venga a formare il segno della vocale A. Abbiamo detto, invece, come le consonanti debbano scaturire da immagini del mondo esterno. Anche per esse può essere raccontata una storia. Una storia da raccontare tutta di un fiato, ma le cui immagini possono, nei giorni seguenti, essere riprese singolarmente per introdurre ad una ad una tutte le lettere.La storia, ad esempio, può iniziare così:
C’è forse qualcosa di più grandioso e misterioso?Polidoro sedeva sulla spiaggia e guardava il mare. Il suo respiro sembrava perdersi nel cielo.
Egli non aveva mai visto il mare e neppure nessuno della sua gente.
Era un tempo che si perde nella memoria degli uomini, pure lo portiamo dentro di noi. Polidoro non aveva mai visto il mare, ma ora ascoltava il suo respiro, vasto, profondo, che mormorava, mormorava. Gli mormorava qualcosa dentro il cuore e gli diceva di andare. Andare dove? Ancora non lo sapeva, ma forse un giorno lo avrebbe saputo.
Così Polidoro sapeva cosa fare. Tornò dalla sua gente, che viveva nei boschi della terra, e raccontò loro cosa aveva visto. Da un sacchetto fece scivolare a terra un po’ della sabbia dorata che aveva raccolto e vi tracciò con un dito due linee ondulate.
- Ecco questo è il mare. La parola risuonò a lungo nell’immagine disegnata e tutti rimasero incantati.
​Dopo aver disegnato alla lavagna, può fare molto effetto versare un po’ di sabbia sulla cattedra e far tracciare ai bambini con le dita o con un bastoncino la forma della lettera M.
Nel proseguimento della storia si racconta il viaggio del protagonista, durante il quale egli riceve una serie di impressioni che gli provengono da “fuori”. Così egli viene trasportato dall’onda del mare e della notte fino ad un’isola un po’ misteriosa, dove incontra un ruscello che si credeva pure re, attraversa una valle….
Alle lettere, inoltre, possono essere associate anche rime, affinché, ripetendole, recitandole, accompagnandole con i gesti euritmici, i bambini possano ogni volta ritrovarvi le immagini, le caratterizzazioni, i suoni. Per dare un esempio delle lettere citate: